Chi vede all’ingresso della città
il sangue versato da antichi guerrieri?
Chi sente l’urto delle armi
e lo scalpiccio notturno delle bestie?
Chi guida la colonna di fumo e dolore
che lasciano le battaglie al calar della sera?
Né il più miserabile, né il più vizioso
né il più debole e dimenticato degli abitanti
ricorda alcunché di questa storia.
Oggi, quando all’alba cresce nei parchi
il profumo dei pini appena recisi,
quell’aroma resinoso e brillante
come il ricordo vago di una femmina magnifica
o come il dolore di una bestia indifesa,
oggi, la città si offre totalmente
alla sua nebbia sporca e ai suoi rumori quotidiani.
E tuttavia il mito è presente,
sopravvive negli angoli dove i mendicanti
inventano una catena tremante di piacere,
sugli altari che il tarlo rode
e che la polvere copre d’oblio quieto e terso,
sulle porte che si aprono all’improvviso
per esporre al sole un torso opulento
di donna che si risveglia tra gli aranci
– morbida frutta morta, vana aria d’alcova -.
Nella pace del mezzogiorno, nelle ore dell’alba,
su treni sonnolenti carichi di animali
che piangono l’assenza dei loro piccoli,
lì è il mito perduto, irrecuperabile, sterile.
Álvaro Mutis, Summa di Maqroll il gabbiere (1993)