Una donna pallida e annoiata con i calzini bianchi e un basco bianco sedeva su una sedia di vimini presso l’ingresso della veranda all’angolo, dove tra il verde del pergolato era stata praticata un’apertura d’accesso. Davanti a lei, su un comune tavolo da cucina, stava un grosso registro, in cui la donna, per scopi ignoti, scriveva i nomi di coloro che entravano nel ristorante. Fu proprio lei a fermare Korov’ev e Behemoth.
– Le loro tessere? – disse, guardando con stupore gli occhiali a molla di Korov’ev, nonché il fornello di Behemoth e il gomito lacerato dello stesso.
– Mi scusi tanto, quali tessere? – chiese sorpreso Korov’ev.
– Sono scrittori? – chiese a sua volta la donna.
– Indubbiamente, – rispose Korov’ev con dignità.
– Le loro tessere? – ripeté la donna.
– Bellezza mia… – cominciò tenero Korov’ev.
– Non sono una bellezza, – lo interruppe la donna.
– Oh, che peccato, – disse deluso Korov’ev, e continuò. – Va bene, se lei non desidera essere una bellezza, il che sarebbe stato molto piacevole, può fare a meno di esserla. Dunque, per convincersi che Dostoevskij è uno scrittore, possibile che sia necessario chiedergli la tessera? Ma prenda cinque pagine qualsiasi di qualsiasi suo romanzo, e senza alcuna tessera si convincerà di avere a che fare con uno scrittore. Del resto, immagino che di tessere, non ne avesse neppure una! Che ne pensi? – chiese a Behemoth.
– Scommetto che non ne aveva, – rispose quello, posando il fornello sul tavolo vicino al registro e asciugandosi con una mano il sudore dalla fronte sporca di fuliggine.
– Lei non è Dostoevskij, – disse la donna a cui Korov’ev faceva perdere il filo.
– Be’, chi lo sa, chi lo sa, – rispose lui.
– Dostoevskij è morto, – disse la donna, ma con poca convinzione.
– Protesto! – esclamò calorosamente Korov’ev. – Dostoevskij è immortale.
– Le loro tessere, signori, – disse la donna.
Michail Bulgakov, Il maestro e Margherita (1967)